Marco Ferri: tre poesie da "Come è passato il tempo"



C'è un'attesa, come sempre,

e il tempo ne assume

i lineamenti, l'esempio è il grigio

che s'intenebra e si raffredda.

Riordino quello che resta.

Finisco di togliere la polvere

che è notte. La ragione senza passione

diventa irragionevole.


Perché si chiude se penso

il senso di ogni parola?

Trova facilmente il freddo.

L'ho messo davanti a me, molte volte,

per guardarlo prima che faccia buio,

senza fretta. Così respiro

questo freddo, lo mangio, che toglie

alla voce un po' di buio.


Non mi stanco di camminare

nelle notti d'inverno per dare

agli occhi le occasioni di vedere

dietro le luci aperte

fino ai nervi, quando finalmente

la parola torna su con il suo

fiato, mi dorme vicino, arma

o cane, con il desiderio sbagliato

di sorprendere una voce dentro

quel torpore che naviga in pace.



**


Che piacere guardare  

senza pensare

l'insignificante modellarsi delle nuvole

prima del tramonto

quando ogni cosa perde forma e senso


soprattutto prima del tramonto

con gli occhi chiusi per il piacere di essere ancora qui

nonostante tutti gli orrori

nella piccola orbita

umana, accanto al vuoto



**


Quella cosa che non esiste

ha mangiato un'altra giornata.

L'ha divorata. Neanche l'ha masticata.

Ingoiata, hop, proprio così, e ha ancora fame,

mentre uno ripensa ai colori, ai tremori

quando era appena nata, quella luce

che sorgeva tenue e smagliata

e uno diceva che la giornata era lunga,

e l'avrebbe respirata piano

sognando. Ora un saluto agli amici

assiepati attorno al fuoco del camino,

che bevono il vino caldo e mangiano

le castagnole, e chiedono perché non resti.

Da solo nella pioggia leggera

porto con me, una strada dopo l'altra,

quella cosa che non esiste.