Una lontananza, qualcosa insomma che si perda
e poi ritorni agli occhi e al cuore. Guglia, tegola,
all'apice del tornaconto che sappiamo o ignoriamo.
Quello che tengo a volte appare qui sul tavolo
in forma di piega grigia, un filo, una pietra
e un peso che nel pensiero mi sorprende e trema.
Diglielo tu quel giorno del febbraio 1961, gli occhi
a un passo dal cielo e il film in bianco e nero,
l'eclissi che lancia il suo totale sconcerto ai vivi.
Tra luce e buio, che è il nostro mistero infine,
ogni giorno per noi, santo, eterno, essenziale.
***
Ma ciò che più m'insidia e tormenta,
lo vedi, eravamo liberi e felici nei campi
della giovinezza rapita. E scavi tra le zolle
il fortunale che trasporta l'acqua, la pietà
se al mio occhio giunge il tuo ramo ancora fresco.
Tutte le anime del mio giardino e le tue;
tutto un farsi e disfarsi d'azzurro e grigio
e poi ancora d'azzurro; e ancora l'ombra
che seguo, la mia, la tua, andare e tornare,
che già vuol dire la forza e del fatto
che avrò voglia, coraggio e armonia
di perdermi nel tuo cielo puro.
***
Ecco la foglia, il leccio, sempre lo stesso
ora che siamo provati, che guardiamo gli altri
nella città di sera, un po' meno, un po' meno
che apparire, siamo. Stupire, stupirsi: questo
dobbiamo fare nell'occhio nostro attraversato
da dirupi.