Ripulito, stirato, il lenzuolo del golfo
freme coi suoi volants; l'aria incolore
si condensa un istante in piccione, in gabbiano,
ma si dissolve subito. Fuori dall'acqua,
barche, barconi, chiatte, gondole somigliano
a scarpe scompagnate, gettate sulla sabbia
che scricchiola sotto la suola. Ricorda:
in sostanza, ogni movimento è
spostamento del peso del corpo in altro luogo.
Ricorda che il passato non può iscriversi
senza residui nel ricordo, e che il futuro
gli è necessario. Ricorda bene:
l'acqua, soltanto l'acqua, sempre e ovunque
resta fedele a se stessa, insensibile
ad ogni metamorfosi, liscia, distesa
là dove non è più terraferma. E tutto il pathos
della vita, all'inizio, il mezzo, il calendario
che si sfoglia, la fine, eccetera, svanisce
in spume lievi, eterne, senza tinte.
Il duro, morto fil di ferro del vigneto
trema per la sua stessa tensione. E gli alberi
nel parco nero in niente si distinguono
dal muro, simile all'uomo che nulla ha più
da confessare, e, soprattutto, nessuno a cui farlo.
Imbrunisce. Silenzio, non c'è vento.
Scricchiolio di conchiglie, fruscio di canne
schiacciate, marce. Un barattolo preso a calci
vola in alto e scompare dalla vista.
Neppure dopo un minuto si distingue il suono
della sua caduta sulla sabbia umida.
Né tanto meno il tuffo.
***
Abbraccia l'aria pulita, come fanno i rami di questi pini:
fra le dita ne resta quanto sul vetro, sul tulle.
Ma dalle nubi non torna più azzurro l'uccellino,
e anche noi non siamo proprio dèi in miniatura.
Perciò siamo felici: siamo un niente. E cime,
ed orizzonti, eccetera, spezzano questa pelle liscia.
Corpo e rovescio dello spazio, comunque la si giri.
E perciò stesso noi siamo infelici.
Appòggiati piuttosto questo portico, attraverso
la camicia il muro rinfrescherà le spalle;
e guarda come il sole tramonta sopra parchi e ville,
e come l'acqua, maestra d'eloquenza,
scorre da fessure rugginose, e non ripete
nulla salvo la linfa che suona l'ocarina,
e salvo il fatto che cruda, fredda,
trasforma il viso in liquida rovina.
***
Scrivo questi versi, seduto all'aperto su una sedia bianca,
d'inverno, con la sola giacca addosso,
dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi
con frasi in madrelingua.
Nella tazza si raffredda il caffè.
Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi
la torbida pupilla per l'ansia di fissare nel ricordo
questo paesaggio, capace di fare a meno di me.