Non so
Nell'umido brillare dei tetti,
nel calare del sole tra scogliere
di strade, non so cos'altro aspetti,
s'altro dichiari con parole rade
ai passanti, ai vetri ciechi dei tram,
e a un tratto molto so della speranza,
ma non so neppure cosa si perde
nell'ansimo dell'aria, quasi un battito
accelerato di motore,
quasi tacchi più fitti, una catena
che si tende, gli occhi un poco più desti.
Ma lo sguardo è dentro le cose
a cercarvi la buccia tra la polpa e non v'è colpa sufficiente per la nostra gioia,
nemmeno la speranza e la solitudine:
tu sai che non so, tu sai che puoi chiedere.
***
L'alba
Ho visto uccelli strani, nevicate impossibili,
il cuore pesticciare disarmato la tundra,
ho sentito fiocchi di sguardi scendere, grandinate
di sguardi mettere in forse il tuo raccolto,
le ore essere uguali al loro contrario,
il tempo lento a percorrersi come un tappeto troppo lungo
- e là chi ti attende? non puoi vederlo... un'ombra scarlatta-.
Ho inteso il mare parlare da solo
quasi non avesse naufraghi su ogni riva,
ho visto bambini medicarsi ferite atroci, andare senza gambe,
guardare senz'occhi, chiedere senza lingua,
implorare una madre rivolti a una roccia,
ho visto un fiore che sboccia affrettare il tempo
ma renderlo infinito un sasso che precipita.
Ma tu che non trattieni il tuo stesso riscatto
e quanto ti completa renderlo quanto ti mutila,
che sei quello che volevi essere e non sarai mai,
cuore in palma di mano o dentro l'abisso schivo d'un sorriso,
se io vivo accanto al precipizio del tuo sangue
ogni colore finisce nel bianco, mosso il proprio spettro,
quel dolore non scompartirlo in felicità troppo sole.
Sole in palma di mano, sole che scende l'abisso
circospetto, e trova ciuffi d'erba, alberi nella nebbia,
chioma addormentate, un pensiero per capello,
basta cercarmi, scendere, risalire, abbandonata la circospezione,
la città dorme, il fango raddensa il proprio siero,
butta la lenza Il pescatore mattiniero
entro un'acqua che non può fermarsi se contiene, né divide, la vita.
***
Addio a Nausicaa
Credo di averti visto nella perdita
con un accento, penso, inobliabile.
(Ma si perde qualcosa nell'oblio
o si acquista qualcosa di impensato
forse più che nel suo vano ricordo?).
Il fuoco che dilunga le tue rive
più e più si allontana entro di noi?
Chi scrive o pensa o solo anche ricorda,
come una corda d'arco che si tende
mette in contatto i propri estremi. Io credo,
proprio per non lasciarti, di averti
lasciata al tuo saluto più incerto,
più lontano d'ogni distanza, ed eri
a un passo da me, dal mio passo.
Sul chi vive è ormai solo il pensiero
che erto altro non scorge entro di sé
di più diviso di quanto più è prossimo,
anzi quasi lo stesso: è la lama
nella ferita, l'occhio nella brama,
che tiene unito quanto si allontana,
labbra già sanguinanti del silenzio
che s'infebbra e le screpola. È l'addio.
Scruta il mare il nocchiero e non sa
se temere che l'orizzonte porga
altri approdi, o se desiderarli.
Vidi in città nebbiose ardere un raggio
di sole. Era il tuo sguardo? O forse era
quanto già visto che nell'invisibile
penetrava per me. Che devo dirti,
amata, che l'amore è sempre a mezzo
e sempre estremo? il remo che ora sciacqua,
nell'acqua glauca della mente esplora
con più forza l'aurora in cui si scioglie
a poco a poco il calore del sole.
Mi volto, posso ormai voltarmi in giro,
ma altro non ammiro che il silenzio
in cui, appena sorge, la parola
abbandona il purpureo rumore
in cui cerca il tuo nome. Ormai lo ignoro,
ove non sia, fluttuante, l'ugola
del mare a suggerirlo in un singhiozzo.
Io so tutto di te, o almeno credo,
perché più nulla so di te, né mai
ho saputo oltre il tuo sorriso, il lieve
arcuarsi delle labbra: la parola
era inutile, quella sola ch'io
attendevo da te, altro non era
che il chiudersi della viola quando il sole,
questo che vedo qui sulle onde spremere
i suoi ultimi raggi, allontanava
dalla felicità il proprio gemito.
Ritornerai nelle tue stanze, avrai
quel sorriso da donare a qualcuno.
Ma io non sarò dietro le tue porte uno
che non vi è, il sospiro del vento.
Premerai con dolcezza più ostinata
quelle ante prima di spalancarle.
Il biancospino lì lieve si arrampica
dal più alto gradino su se stesso
e si ritorce: breve è lo spazio
in cui si espande e fiorisce; è anche dire
che solo nel più espanso si nasconde
più a fondo intrattenibile ogni impulso.
Terribile è il mistero dell'oblio,
ma trepido come la felce dietro cui
ti vidi la prima volta apparire.