Negli ampi spazi si accede
al maggiormente vuoto.
Lo sguardo è nel solito perpetuo
distacco da sé, è in sé smarrisce
il senso dei confini.
Più si apre il mondo, e più dentro di noi
ci perdiamo. Più lo spazio diventa
grande e incontrollabile, e più sentiamo di essere
costretti, chiusi nei contorni dell'anima
inascoltata delle cose.
***
Guardando in questo modo qua, senza vedere, così
come facciamo quando la luce cade dentro di noi,
nasce un pretestuoso vuoto che instaura un accalcarsi
di momenti e di età e si installa in un punto della strada
indovinato da un odore di pane e dolciumi.
Sembra sia frutto dell'immaginazione, mentre lo sguardo
è solo a metà del sentimento e il sentire è tutto
chiuso nell'oblio. Così, affrettando il passo, andando oltre,
cercando più in profondo, si arriva a un altro punto,
a un'altra strada, si scopre un altro odore e ne vien fuori
una lontananza, un vuoto di visioni, una vertigine,
nel moto del restare di ogni passo e spostamento.
***
La straordinaria immobilità
di quello che ci appare protetto
dalla sua similitudine,
spinge lontano lontano
lungo il pensiero.
Qualcosa di simile a un distacco
dentro il vivere,
tra noi e la nostra presenza.
Noi che siamo costanza di tempo
e asciughiamo concetti in parole,
costringendo la cosa che siamo
a un silenzio, a un evento già stato.
E le piante qui attorno
sono di un grande verde, le foglie
un corpo di luce le attraversa.
E noi pensiamo a come era prima,
alle cose che abbiamo perdute,
girando lo sguardo sugli oggetti
di questa mancanza, sprofondando
nella luce che ce li fa riconoscere.