E lo sognavo, e lo sogno,
e lo sognerò ancora, una volta o l'altra,
e tutto si ripeterà, e tutto si realizzerà,
e sognerete tutto ciò che mi apparve in sogno.
Là, in disparte da noi, in disparte dal mondo
un'onda dietro l'altra si frange sulla riva,
e sull'onda la stella, e l'uomo, e l'uccello,
e il reale, e i sogni, e la morte: un'onda dietro l'altra.
Non mi occorrono le date: io ero, e sono, e sarò.
La vita e la meraviglia delle meraviglie, e sulle ginocchia della meraviglia
solo, come orfano, pongo me stesso,
solo, fra gli specchi, nella rete dei riflessi
di mari e città risplendenti tra il fumo.
E la madre in lacrime si pone il bimbo sulle ginocchia.
***
Presso il mare d'Azov
Uscii alla stazioncina. La ghisa riposava
tra dense volute di vapore oleoso. Era un re assiro dagli svolazzanti riccioli a grappoli.
La steppa s'aprì, e come nell'antro del vento
vi fu risucchiata la mia anima. Alle spalle
non avevo più capanne d'argilla: le torri lunari all'intorno
fluttuavano consolidandosi fin sull'orlo della terra,
la notte svolgeva da un vano all'altro
la sua tela spessa, ravvolta strettamente.
La mia giovinezza s'allontanó da me, e un sacco
mi curvó le spalle. Sciolsi le corde, e versai
il sale sul pane, e sfamare la steppa, e con la settima parte
di quanto restava saziai il mio corpo paziente.
Dormii, mentre al mio capezzale si raffreddavano
le ceneri dei sovrani e degli schiavi, e ai miei piedi stava
la coppa con le plumbee lacrime d'Azov.
Sognai tutto ciò che mi sarebbe accaduto.
La mattina mi destai, chiamai terra la terra,
e offersi il mio petto ancora debole all'arsura.
***
Come quarant'anni fa
(I)
Come quarant'anni fa,
palpita il cuore al risuonare
dei passi, e la casa con l'abbaino sul giardino,
la candela, lo sguardo miope
che non esige né garanzia
né giuramento. In città rintoccano le campane.
Albeggia. Cade la pioggia, e la scura
inzuppata uva selvatica
si stringe al muro, come uno sradicato,
come quarant'anni fa.