Michele Bordoni: tre poesie da "Gymnopedie"

 






Sempre bianca rimane questa riva,

immacolata l'acqua, benedetta

l'impossibilità della distanza:

e noi poveri, pochi nell'ascolto

che si nega e dilaga nell'udito.

Si resta ad aspettare la parola.

Imparare lo strascico delle onde,

limitarsi a raccogliere sul lido

gli avanzi di quel mare che straborda.

E al fondo scomparire, ritornare

a casa, le mani ancora insabbiate.


Ma forse questo chiediamo sull'orlo

alla spuma, di trovarla in un difetto

di pronuncia, sepolta troppo dentro

la quotidianità. Di parlare

quasi a doverla masticare a vita,

dimenticando di doverla dire.




***




(a mio padre)



Seguivo sulla sabbia le tue impronte

rimaste a raccontare il tuo passaggio;

sapevo l'andatura,

la distanza fra un piede e l'altro esatta.

Era, la mia, gioia d'appartenerti,

orgoglio acceso da una somiglianza.


Ma ora che l'acqua si ritira evapora

la terra, si apre e crepita il tuo passo,

la luce si fa vento e rende sordi.

La pietra ha un tacere che non so

sulle creste di un vivere più adulto

e non su sabbia, su arida erba corri

senza rumore ch'io possa ripetere.




***




Vorrei che la parola decadesse

ebbra di pienezza nel crepuscolo

dell'espressione, quando è sufficiente

la linea, essenziale. O il silenzio.

Appartenere alle cose mediane

come l'autunno che torno a ricevere;

abbandonarsi allo svanire veloce

e dalle foglie imparare a cadere.